Sinistra Civica Ecologista a sostegno della battaglia referendaria contro la legge n. 86/2024 sull’autonomia differenziata
Sinistra Civica Ecologista a sostegno della battaglia referendaria contro la legge n. 86/2024 sull’autonomia differenziata
Documento di Sinistra Civica Ecologista approvato dall'assemblea il 20 luglio 2024
Sinistra Civica Ecologista fa appello a tutte le cittadine e i cittadini della Toscana affinché sottoscrivano la proposta di referendum abrogativo della legge 26 giugno 2024, n. 86 (Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione), cd. legge Calderoli.
Nelle prossime settimane Sinistra Civica Ecologista sarà con la CGIL e le altre associazioni riunite nei comitati de “La Via Maestra” e con i partiti di opposizione per organizzare in ogni provincia i comitati referendari, pubblicizzare le ragioni del referendum abrogativo, promuovere la partecipazione civica e raccogliere nel più breve tempo possibile le firme che consentiranno di chiamare le elettrici e gli elettori al voto nella primavera del 2025.
L’autonomia differenziata – che la legge Calderoli si propone di promuovere – vìola essenziali principi di unità nazionale e di uguaglianza dei cittadini, cristallizza nel tempo inaccettabili diseguaglianze territoriali e getta nel caos i rapporti tra Stato e Regioni.
Non esiste nessun motivo razionale per fare questo sfregio alla Repubblica, solo l’ambizione di ristrette classi dirigenti leghiste di essere protagoniste della rottura del Paese, e di realizzare una vecchia idea politica impregnata di separatismo.
È falso che le istanze autonomistiche e il regionalismo possono realizzarsi al meglio con un’autonomia differenziata che, una volta concessa, non potrà più essere messa in discussione se non con il consenso della Regione interessata. Un fatto inaudito. È come accettare che un pezzo di stato se ne vada per conto suo e su importanti e numerose materie (fino a 23 materie!) sia autorizzato a decidere quello che vuole, prendendosi un pezzo del bilancio dello Stato. Per questo, giustamente, si è parlato di autonomia espropriativa. Oltre al caos normativo, segnalato con allarme dalle più importanti organizzazioni sociali, gli effetti diretti sulla distribuzione delle risorse pubbliche a livello sociale e territoriale e quelli indiretti sul debito pubblico e privato saranno insostenibili, come si può agevolmente prevedere sulla base delle osservazioni formulate da istituzioni indipendenti come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio e la Banca d’Italia e come ha avuto modo di segnalare perfino la Commissione UE.
È falso dire che questo sfregio sia previsto dalla Costituzione. La Costituzione, modificata sul punto dalla riforma del Titolo V della Parte Seconda, prevede la possibilità di conferire a singole Regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, ma non prevede affatto che questa possibilità possa stravolgere il riparto di competenze stabilito dall’articolo 117 della Costituzione, che – ricordiamo - può essere modificato solo con legge costituzionale. Una lettura compatibile con tutto il resto delle norme costituzionali esclude lo stravolgimento di cui si fa portatrice la legge Calderoli.
È stato un errore, da parte del centro sinistra, approvare nella riforma del Titolo V anche la disposizione sull’autonomia differenziata. Era infatti prevedibile che la Lega e le Regioni da essa governate avrebbero usato quella norma per destabilizzare la Repubblica. Ed è stato un errore che dell’autonomia differenziata sia diventata subito paladina anche una Regione come l’Emilia-Romagna. È stato un errore che il governo Gentiloni abbia sottoscritto il 28 febbraio 2018 le cd. pre-intese con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, con le quali si è dato spazio all’idea che attraverso l’autonomia differenziata le tre Regioni potevano vedersi riconosciuta una parte del cd. “residuo fiscale”, e si è sostanzialmente accettata l’interpretazione dell’autonomia più lontana dallo spirito della Costituzione. Così, le tre Regioni hanno proceduto, nella più assoluta segretezza, a negoziare la loro autonomia differenziata con il primo governo Conte arrivando alle soglie dell’approvazione delle intese, poi non avvenuta solo per un ripensamento finale del M5S. I successivi tentativi, avvenuti negli anni del secondo governo Conte, di limitare i danni - mantenendo però l’impegno a dare attuazione all’articolo 116, terzo comma della Costituzione - hanno solo dilazionato il tempo della verità. Che puntualmente è giunto con la vittoria della destra alle elezioni del 2022 e l’accordo tra i tre partiti al governo sulle tre riforme che li hanno in questi anni più caratterizzati (elezione diretta del presidente del consiglio, autonomia differenziata, separazione delle carriere dei magistrati). Così, la legge quadro, che era stata inventata dal secondo governo Conte per limitare i danni dell’autonomia differenziata (fino al punto di tentare di escludere dal processo di autonomia le materie dell’istruzione, della sanità e del trasporto pubblico locale), è stata prima ripresa dal governo Draghi e poi portata a compimento dal governo Meloni.
Anche la Regione Toscana ha gravemente sottovalutato l’ideologia che sta dietro l’autonomia differenziata, fin da quando nel 2004 la Giunta regionale si avventurò ad elaborare – per fortuna senza alcun effetto – progetti di autonomia differenziata in materia di beni culturali e di ambiente. Nel triennio 2017-2019 la Regione Toscana ha partecipato alla discussione, dapprima dichiarando il proprio interesse agli annunciati processi di autonomia differenziata, poi cercando di non essere esclusa dal negoziato in corso tra il governo e le tre Regioni di punta, ed elaborando proposte in dieci “materie”. Nonostante le diversità dalle altre proposte (la Toscana ha chiesto in gran parte spazi di autonomia che avrebbero potuto riguardare tutte le regioni e avrebbero potuto essere concesse anche con legge ordinaria, non ha avanzato rilevanti proposte sulle risorse aggiuntive da attribuire, ha proposto specifici procedimenti legislativi che tenessero conto dell’interesse nazionale), la posizione della Regione Toscana è rimasta all’interno dello schema promosso da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, senza riuscire a prospettare una sua visione alternativa all’ideologia espropriativa, più che altro contando sul ridimensionamento quantitativo, portato avanti dal secondo governo Conte, del processo di autonomia differenziata. Il negoziato però non è mai decollato, anche a causa del sopravvenire dell’emergenza sanitaria e della conclusione della legislatura. Ancor più ambigua è risultata la posizione assunta dalla Regione Toscana in questi ultimi anni: se nessun atto è stato adottato, nemmeno in continuità con le richieste già avanzate nel 2018-2019, numerose sono state le posizioni politiche assunte dal vertice della Regione a supporto del processo portato avanti dal trio Veneto Lombardia Emilia-Romagna, con la conclamata intenzione di utilizzare questi spazi per ottenere risorse aggiuntive in materia di geotermia, musei e perfino turismo (materia non compresa tra quelle dell’autonomia differenziata).
Finalmente, il dibattito sulla legge Calderoli ha reso evidente quello che probabilmente non era, costringendo tutte le Regioni governate dal centro sinistra e dal M5S a prendere una posizione chiara. Dubbi molto seri si sono affacciati anche nel campo del centro-destra, soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno. Il velo è caduto, il disegno leghista della prima ora è tornato a dettare l’agenda politica.
Ora che le ambiguità si sono sciolte, sul campo c’è un’idea precisa, appunto “espropriativa” di autonomia regionale. Una posizione estrema che non consente mediazioni. Da qui la necessità di una forte battaglia parlamentare, come quella durissima fatta dai partiti di opposizione sul testo della legge Calderoli. Da qui la necessità di promuovere un referendum abrogativo della legge stessa. Le quattro Regioni governate dal centro sinistra, compresa la Regione Toscana, e la Regione Sardegna hanno sciolto ogni riserva, e si sono infine schierate con forza per il referendum. L’assunzione di questa responsabilità da parte delle cinque Regioni è uno dei fatti nuovi che aiuta la costruzione di un vasto fronte politico e sociale, contribuendo alla mobilitazione e alla partecipazione consapevole di milioni di cittadine e di cittadini. In più, sarà molto importante che alcune Regioni – tra cui la Regione Toscana - decidano di impugnare la legge Calderoli davanti alla Corte costituzionale, chiedendo finalmente, con un atto politico e istituzionale di grande valore, l’intervento del giudice delle leggi sul corretto inquadramento dell’autonomia differenziata nell’ambito della Costituzione.
Ormai sul campo non esistono più i distinguo tra “autonomia differenziata buona” e “autonomia differenziata cattiva”.
Se ce n’era una buona, questa non si è mai vista in campo. Non è mai stata in campo una lettura corretta della norma costituzionale, una concessione di autonomia aggiuntiva minima, di carattere amministrativo, basata su caratteristiche specifiche della Regione richiedente e su un’esperienza già consolidata nel tempo, rispettosa dell’assetto costituzionale previsto dall’articolo 117. Né si è mai fatta avanti in questi anni la richiesta di rafforzare le Regioni nel loro complesso in ambiti coerenti con il loro ruolo, con competenze amministrative da attribuire in via ordinaria al complesso delle Regioni, come avvenuto – per capirsi – con le cd. leggi Bassanini.
Il paradosso italiano è che si accede a un’idea di autonomia espropriativa proprio dopo che le Regioni hanno dato pessima dimostrazione di sé negli anni del Covid, proprio dopo che è risultato a tutti evidente che, semmai, occorreva modificare il Titolo V della Parte seconda della Costituzione asciugando le competenze regionali su materie di manifesto interesse nazionale, come l’energia. Lo sfregio dell’autonomia differenziata è anche questo, uno sfregio alla realtà.
L’unica ragionevole proposta che per un momento è stata sul tavolo delle istituzioni, e cioè la proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare, il ddl S. 764/2023 di modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione, è stata respinta praticamente senza discussione.
E invece, grazie al referendum la discussione ci sarà, sarà pubblica e coinvolgerà tutte le cittadine e tutti i cittadini. Sarà una grande discussione contro un’idea distorta di regionalismo, non contro il regionalismo in sé. Sarà una discussione sui servizi e sulle prestazioni che la Repubblica deve assicurare a tutti, e non sui fantomatici e cartacei “LEP”. Sarà una discussione sulla sanità e sull’istruzione, sui diritti e sull’uguaglianza, ma anche sullo sviluppo del Mezzogiorno, su quanto ci perdono tutti, compresi i lavoratori, le famiglie e le imprese del Nord, ad avere il caos normativo e di bilancio che l’autonomia differenziata porterà.
Sinistra Civica Ecologista, che ha mantenuto in questi anni una posizione fermamente contraria all’autonomia differenziata, farà tutto quello che le sarà possibile per contribuire, con la CGIL e le associazioni de La Via Maestra e con i partiti di opposizione, al raggiungimento delle firme per il referendum e all’abrogazione della legge Calderoli.